Il preside dell’istituto Scarpa-Mattei di San Donà di Piave (Venezia) commenta la morte di Cloe Bianco e la sua storia.
Il caso di Cloe Bianco, la professoressa transgender che si è uccisa dando fuoco al camper nel quale viveva, continua a far discutere tutta l’Italia. Quanto è sicuro è che siamo ancora in un Paese con una cultura non completamente inclusiva nei confronti delle persone transessuali. Parlare di transfobia diffusa forse può essere eccessivo, ma sicuramente degli elementi di questo fenomeno sono presenti sul territorio italiano. Per quanto riguarda la vicenda di Cloe Bianco, il preside dell’istituto nel quale insegnava ha commentato la sua morte e la sua storia.
Le parole del preside
“L’istituto non fece nulla per metterla in difficoltà – commenta il preside dell’istituto Scarpa-Mattei di San Donà di Piave (Venezia), Francesco Ariot – alla fine era una brava insegnante e questa era l’unica cosa che contava. Infatti continuammo a chiamarla come supplente anche in seguito, ma non tornò. C’è chi dice che fu demansionata e costretta a lasciare l’insegnamento. Non è vero“. Queste le dichiarazioni del preside al Corriere della Sera. Cloe era iscritta sia alla graduatoria degli insegnanti che alla graduatoria del personale amministrativo. “Fu lei, in seguito, a rinunciare alle supplenze per accettare gli incarichi in amministrazione”.
Stando al dirigente, Bianco si presentò agli alunni come Cloe, generando negli studenti un “impatto iniziale traumatico”. Nel dettaglio, un’alunna “si allontanava dalla classe colpita da crisi di pianto”; un prof, invece, “è rimasto impietrito”. Inoltre, stando sempre al preside, Cloe si vestiva in modo “vistoso”, “volgare” ed “eccessivo”, nel plesso scolastico. Un’ex alunna di Cloe non è però d’accordo con queste dichiarazioni.
La sanzione
Nel 2016, Cloe Bianco fu condannata a tre giorni di sospensione dal giudice del lavoro, in seguito al suo coming out, con mille euro di spese legali. “Fu vittima di una sanzione ingiusta. Sullo sfondo c’è sicuramente una condotta discriminatoria e una forte ipocrisia”, afferma l’avvocato Marco Vorano, che difendeva Cloe. “Non ho idea se possa esserci un collegamento tra la sua morte e ciò che accadde all’epoca. Inizialmente Cloe era decisa a impugnare la sentenza, ma dopo venti giorni sparì e di lei non ho saputo più nulla. Fino al suo suicidio”.